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Intervista ad Amina
condotta da Annavittoria Sarli ed editata da Camilla Valerio

Intervista già apparsa su Italics Magazine in lingua inglese 

 

Amina ha 21 anni ed è nata in Italia da genitori marocchini. È cresciuta in provincia di Lodi, in Lombardia, e studia Lingue e Culture moderne. Parla correntemente cinque lingue: italiano, arabo, francese, inglese e spagnolo. E di fede musulmana e ha sia la cittadinanza italiana sia quella marocchina. 

 

DRaccontami di un incontro con una persona che ti è parsa molto diversa da te.

R: Mi viene subito in mente una ragazza con cui studiavo al liceo. La prima conversazione che abbiamo avuto è stata sulla religione. Lei è atea e pensa che la religione metta troppi paletti alle persone che credono. Una volta mi ha detto che secondo lei i testi sacri come la Bibbia o il Corano abbiano lo stesso valore della saga di Harry Potter. È una persona spontanea che dice quello che pensa e ho apprezzato molto il nostro confronto, ma il suo punto di vista mi sorprende ancora: ci sta pensare che Dio non esista, ma è possibile ritenere che tutte le persone di fede siano così credulone da dare tanta importanza a qualcosa che non è nulla più che fiction?

 

DTi capita spesso di confrontarti con idee lontane da te, in fatto di religione?

R: Noto spesso che la religione viene vista come una cosa un po’ démodé, per persone con idee antiquate. Una cosa “da vecchi”. È raro che una persona giovane sia fermamente convinta sul piano religioso. Al liceo c’era questa moda per cui erano tutti atei. Anche chi andava a Messa la domenica, si vergognava a dirlo (ride)!

 

DPensi di essere efficace nelle interazioni interculturali?

R: Molto! Quando mi confronto con una persona non tendo a notare solo le differenze, mi piace stare in osservazione e cogliere anche i punti in comune. Poi, essendo cresciuta immersa in più ambienti culturali, su molti argomenti ho in testa prospettive diverse. Spesso succede che in una conversazione due persone abbiano punti di vista differenti e che io capisca entrambi, perché somigliano a qualcosa che conosco già. Allora provo a intervenire per facilitare la comprensione. Proprio ieri mi sono trovata tra due ragazze che si confrontavano sulla questione del velo. Spiegare il punto di vista di chi porta il velo non è semplice: è importante cogliere in profondità i suoi dubbi per poterli chiarire.

 

D: Tu il velo non lo porti. Perché?

R: So che se lo portassi non troverei lavoro o, comunque, non il lavoro che voglio io. È triste. Parliamo tanto di libertà, ma libertà vuol dire poter scegliere, anche se portare il velo oppure no. Conosco ragazze a cui è stato chiesto di non indossarlo sul posto di lavoro. Hanno accettato, ma non è bello, perché significa rinunciare a una parte importante di sé. 

La mia diversità passa spesso inosservata: Il mio nome e i miei caratteri somatici non svelano immediatamente le mie origini. Quando mi sento trattata come se fossi italiana e mi chiamassi Elena Rossi mi chiedo sempre: “Sarebbe lo stesso se portassi un pezzo di stoffa in testa?” In definitiva è un pezzo di stoffa che copre la mia testa, non il mio cervello! Eppure quando uscivo con il velo per andare alla moschea, il modo in cui mi guardavano era completamente diverso. Poi ti fanno queste domande strane: “Ti ha obbligato qualcuno?” Un po’ come quando a scuola, durante il Ramadan, mi dicevano: “dai, mangia, tanto non ti vede nessuno!” (ride)

D: Che impatto ha avuto su di te avere genitori migranti? 

R: Mi ha permesso di vedere cose che spesso chi ha genitori nati qui non riesce a vedere. Quando ho fatto un tirocinio come interprete nell’ufficio Affari Sociali e Immigrazione della Prefettura mi sono resa conto che riuscivo a immedesimarmi molto bene nei racconti delle persone che passavano di lì. Sentivo che si creava un feeling, un’empatia, mentre notavo una certa superficialità da parte degli assistenti sociali. Ad esempio il fatto che qualcuno non parlasse bene l’italiano veniva visto come una forma di pigrizia. Anche una persona italiana in Cina farebbe un po’ fatica ad esprimersi, anche dopo cinque o sei anni!

 

DHai parlato di empatia. Mi spieghi meglio cosa intendi?


R: Avere genitori migranti mi ha spinto a mettermi nei panni degli altri, a voler capire perché una persona abbia un comportamento o sostenga una tesi diversa dalla mia. Mi affascina comprendere prospettive di cui neanche sospettavo l’esistenza e anche quando un punto di vista mi pare assurdo cerco di andare più a fondo e di non guardare con superiorità. Certamente evito di deridere o denigrare, perché so come ci si sente! 

 

D: A te dispiace che il tuo essere anche marocchina passi spesso inosservato?

R: No, lo uso! È un po’ come andare in incognito. Capita spesso che chi ho davanti abbia qualcosa da ridire su persone della mia stessa nazionalità. Io li lascio parlare perché mi interessa sapere che cosa pensano veramente. Quando poi do il mio parere, precisando che è autorevole perché anch’io sono marocchina (ride), restano un po’ spiazzati.

 

DTi è mai capitato di voler nascondere le tue origini?

R: Conosco delle ragazze che hanno cercato di italianizzare anche il loro nome. Mia madre mi ha detto: “Che non ti venga in mente! Devi essere fiera delle tue origini!”. E in effetti è meglio imparare ad accettarle, le proprie origini. Il fatto è che prima o poi saltano sempre fuori! Non potrai mai sentirti al 100% italiana: ci sarà sempre qualcuno a ricordarti che non è così!

 

DA volte non ci resti male ad ascoltare tanti pregiudizi?

R: Una volta ci rimanevo male, ora non mi fa più né caldo né freddo! Quando parlo con persone che hanno idee un po’ diverse dalle mie non mi arrabbio mai. Cerco sempre di avere un dialogo, perché se mi altero dò solamente prova di quello che loro credono. Finché non dicono niente di troppo offensivo resto tranquilla e cerco di fare un’analisi. Cerco di capire che se cresci in un ambiente chiuso e intorno a te senti sempre confermare una certa visione del mondo non puoi che sviluppare determinate idee.

Essere figlia di persone che hanno altre origini mi ha aiutato a ragionare. In televisione danno di noi Musulmani un’idea distorta, come fossimo tutti… non so… Talebani.  Lo stesso potrebbe valere per molte altre questioni, per cui ho imparato a non prendere per oro colato quello che dicono la gente o i media, ma ad analizzare e approfondire prima di farmi delle convinzioni. Ad esempio mi sono sempre chiesta perché in certi casi venga messa in evidenza l’origine di chi commette un crimine e in altri no. Si è mai sentito dire, al telegiornale: “Italiano uccide” o “Americano uccide”?

DPensi di aver mai fatto cambiare idea a qualcuno?

R: Mi ricordo che al liceo c’era questo ragazzo secondo cui le persone straniere che vengono in Italia vivono di rendita. Rispondevo che io venivo da una famiglia marocchina eppure non vivevo di rendita. E lui: “Tu non conti, sei italiana!” Questo lo noto spesso: quando fai qualcosa di positivo sei italiana, quando sgarri sei marocchina (ride). 

Io ero l’unica marocchina in quella classe… e ti senti un po’ come un’ambasciatrice del tuo paese. Qualsiasi cosa tu faccia cerchi di stare attenta, perché potresti generare altri pregiudizi inutili.

 

DTu hai pensato fin da piccola di essere in qualche modo diversa?

R: Sì, certo, a partire dalla Catechesi o dalla Messa della domenica. Io mi chiedevo come mai non ci andassi e frequentassi invece il corso di arabo. Oppure noi durante le nostre feste saltavamo scuola e nella giustificazione dovevamo scrivere “per motivi familiari.” Io mi chiedevo: “Ma quali motivi familiari? Io sono stata a casa per festeggiare!” 

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