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Intervista ad Ismail
condotta da Annavittoria Sarli ed editata da Camilla Valerio

Intervista già apparsa su Italics Magazine in lingua inglese 

 

Ismail ha 22 anni e studia scienze della comunicazione. E’ nato a Modena da genitori di nazionalità marocchina e, come loro, ha la doppia cittadinanza, marocchina e italiana. L’italiano è la sua lingua, ma parla correntemente anche arabo e inglese. Al momento sta rapidamente imparando il francese. 

 

D: Come ti descriveresti? 

R: Innanzitutto direi creativo. Mi trovo bene fuori dagli schemi. Non è per desiderio di distinguermi; ne sento proprio la necessità! Anche se la mia vita è sempre stata e probabilmente sarà sempre in Italia, non mi sento nello stesso contenitore del Modenese nato qui da genitori, nonni e bisnonni del posto. D’altronde dati i miei tratti somatici la gente mi percepisce come diverso e questo si ripercuote sul mio modo di essere. Mi sento diverso e… ne vado fiero! In passato, sono sincero, mi ha creato problemi, ma ho affrontato le difficoltà grazie alla mia arte.

 

D: Chi sono i tuoi amici? 

R: I miei amici sono persone mentalmente aperte. Posso proprio dire di essermeli scelti. Anni fa uscivo con una compagnia in centro. La maggior parte di loro aveva un destino segnato dai genitori, sapeva cos’avrebbe fatto e aveva la strada spianata. Io invece ero tutto da costruire e dovevo darmi da fare. Così ho chiuso con loro, anche un po’ bruscamente, e ho trovato le “mie persone”. Il mio migliore amico, quello che reputo un fratello, è napoletano. Siamo due Meridionali al nord (ride). Poi ci sono un Pugliese e un Nigeriano. Insomma, siamo tutti quanti un po’ degli outsider, anche se in realtà siamo nati qui.

 

D: Hai vissuto sempre a Modena? 

R: Appena finite le scuole superiori sono andato in Inghilterra e ho cercato lavoro come perito informatico. Volevo seguire le orme di mio padre, che a fine anni ’80 è partito all’avventura per l’Italia, per espandere il proprio mondo e le proprie opportunità, spinto da quello che ai tempi era il mito dell’Occidente.

Presto, però, mi sono accorto che tra la vita frenetica londinese e il lavoro correvo come un pazzo e non avevo tempo per la mia musica, la mia arte, i miei progetti. E’ grazie a quell’esperienza che ho capito quanto creatività e bisogno di comunicare siano centrali per me. Sono rientrato e mi sono iscritto a scienze della comunicazione.

 

D: Quanto il fatto di avere genitori nati all'estero ti ha aiutato a sviluppare risorse o capacità particolari?

R: La storia di immigrazione dei miei genitori rappresenta per me un forte stimolo all’intraprendenza. Mio padre per me è un eroe, specie se penso a quello che è riuscito a costruire. Partito in macchina dal Marocco, dopo un viaggio rocambolesco si è ritrovato a Modena senza nulla in mano. Qui si è improvvisato come tornitore. Ho spesso ascoltato il racconto di come, senza aver mai visto un tornio in vita sua, ha convinto il datore di lavoro di essere proprio il dipendente che gli mancava!

Mi ripete spesso di studiare, per non dover faticare quanto lui, che ha lavorato come operaio per una vita. E io studio, senza però applicare alla lettera i suoi consigli. Il giorno in cui gli ho detto che volevo fare musica è scoppiato a ridere, anche se poi non mi ha mai ostacolato! Vorrei seguire il suo esempio, reinterpretandolo a modo mio: mettere in campo quell’inventiva e quello spirito di iniziativa, ma in un ambito più adatto al mio modo di essere.

D: Cosa intendi?

R: Mio padre ha eccellenti capacità manuali, che io  non ho. Sono più simile a mia madre, che è molto portata per le lingue e ha ottime capacità comunicative. Arrivata in Italia dopo essersi sposata, è rimasta subito incinta di me. Pur non sapendo l’italiano, doveva andare da sola alle visite ginecologiche, perché mio padre era impegnato sul lavoro. Non solo è riuscita ad arrangiarsi con il francese che conosceva, ma si è ritrovata addirittura a fare da mediatrice tra il personale sanitario e le altre donne arabe che incrociava al consultorio. Pochi mesi dopo una ginecologa le ha proposto di entrare a far parte di una cooperativa di mediatori linguistico-culturali ed è lì che lavora ancora oggi.

 

Quale sia di preciso la mia strada non lo so: la sto cercando. Noi Musulmani crediamo che il destino sia scritto. Così se anche una persona arriva a trent’anni senza aver ancora trovato la propria strada, noi siamo tranquilli. L’importante è che si applichi e non molli la presa. Poi, quello che avverrà … è destino.

 

D: Tu ti consideri un buon mediatore?

R: Decisamente sì. Sentirmi diverso mi ha portato a sviluppare empatia, la capacità di mettermi nei panni degli altri. Poi fin da piccolo ho osservato determinate dinamiche... Anche quando andavo al supermercato con i miei genitori e incontravamo dei conoscenti italiani, vedevo come ambo le parti facessero dei passi l’una verso l’altra, come due menti che provano a collegarsi, due sistemi operativi che non parlano la stessa lingua, ma tentano di connettersi allo stesso server.

 

D: Cosa favorisce, secondo te, l’interazione interculturale?  

R: Sapere le lingue è fondamentale, perché più lingue sai più persone puoi approcciare. Conoscere una lingua significa anche saper riconoscere le persone che la parlano e usare quel termine, quell’espressione in grado di connettervi. A quel punto bisogna che il tuo bagaglio culturale sia abbastanza vasto da permetterti di empatizzare con queste persone. Sapere tutto è impossibile, ma avere idea che, al di là della musica occidentale - di Bethoveen e tutti gli altri - senza l’Africa non ci sarebbe il ritmo in levare, questo aiuta! [Poi la conoscenza porta altra conoscenza, come in un circolo virtuoso, e deve sempre essere attivata dalla curiosità. Se non sei curioso stai a casa e dormi!

 

D: Cosa ti manca, cosa potresti migliorare nelle tue interazioni interculturali? 

R: A volte mi manca il coraggio per affrontare le situazioni più diverse da me. Ora penserai che è un paradosso, ma mi riferisco proprio al mondo marocchino. Nella mia vita non ho avuto tanti amici marocchini, nessun legame significativo. Ultimamente però ho iniziato a frequentare una ragazza la cui famiglia è originaria del Marocco. Grazie a lei sto riscoprendo tanti aspetti di questo universo culturale. Sembra incredibile, ma mi sono reso conto di aver dei pregiudizi nei confronti delle mie origini! 

 

D: Come mai secondo te? 

R: Il Marocco e la cultura marocchina li ho conosciuti solo da casa, attraverso i miei genitori e i miei nonni. Vedendo certe dinamiche nei loro rapporti, credevo tutto il Marocco fosse così… Invece è anche mollto altro.

 

D: Non sei stato spesso in Marocco?

R: Si, ma quasi sempre con la mia famiglia, rimanendo a casa di nonna o di mamma. Quattro anni fa però ci ho portato il mio migliore amico ed è stato molto diverso. E’ stata la prima volta in cui posso dire di aver vissuto il mio paese d’origine da “uomo libero" (sorride): facendo quello che desideravo e aprendo le porte che volevo. 

Quell'anno, al momento di rientrare in Italia, ho vissuto un’esperienza davvero incredibile, che ancora non riesco a spiegarmi razionalmente. A Marrakesh l’imbarco avviene dalla pista. Mi ricordo che c’era questo paesaggio, tutto circondato da palme e da minareti. Era l’ora del ‘Asr, la preghiera tra il mezzogiorno e il tramonto. Stavamo salendo le scale dell’aereo e a un certo punto, proprio mentre partiva l’adhan, la chiamata alla preghiera, io mi sono ghiacciato! Non so proprio perché, ma ero fermo e mi sentivo come di marmo. Alla fine sono salito sull’aereo, mi sono seduto e sono scoppiato in fiumi di lacrime! Sai quando ti escono come il sudore?

Non volevo tornare, il mio corpo, ogni parte di me mi diceva “ma dove vai? Stai qua!” Questo mi ha segnato, mi ha fatto capire che c’è qualcosa lì, qualcosa che forse l’Italia o l’Inghilterra non riusciranno mai a darmi. 

 

D: E che cos’è secondo te?

R: Eh, devo proprio andare lì e scoprirlo! Magari la prossima volta te lo racconterò.

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