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valeriocamilla93

Qualche riflessione sulle Olimpiadi 2024

Aggiornamento: 13 ago

Al motto di «Games wide open», le Olimpiadi di Parigi 2024 si sono poste l’obiettivo di diventare «i Giochi più responsabili, più inclusivi, più equi e più spettacolari» della storia e questo soprattutto grazie al fatto che, per la prima volta, abbiamo avuto un numero uguale di atleti e di atlete e lo stesso numero di competizioni, quindi di opportunità di andare a medaglia. Questa narrazione si è subito scontrata con le immagini delle autorità francesi impegnate in sfratti ed espulsioni con l’obiettivo di fare spazio allə addettə ai lavori e, soprattutto, di restituire alle telecamere l’immagine di una città perfetta. Le prime espulsioni in vista delle Olimpiadi sono iniziate nel 2021, nella banlieue nord – tra le zone più povere dell’hinterland parigino – designata come sede del villaggio dellə atletə, le autorità francesi hanno preso di mira soprattutto tendopoli, squat (immobili abbandonati occupati) e studentati, sgomberando migliaia di persone – oltre dodicimila secondo la rete locale di associazioni impegnate contro l’esclusione sociale. Anche l'inquietante e indubbiamente discutibile partecipazione di Israele e di atletə membrə attivə dell'IDF e del genocidio palestinese, ha fatto molto riflettere sul concetto di “giochi responsabili” e sul doppio standard dell'occidente. 


A partire dalla cerimonia d’apertura, però, sono stati soprattutto lə nostre politicə e i media italiani responsabili di narrare tale competizione a dare il meglio di loro attraverso commenti sessisti, transfobici e razzisti. Siamo partitə dall’indignazione per la presunta imitazione dell’Ultima Cena in chiave queer  - che si è scoperto poi voler richiamare invece «una festa pagana legata agli dèi dell’Olimpo» - per passare poi agli attacchi transfobici nei confronti della pugile Imane Khelif contro cui l’italiana Angela Carini ha deciso di ritirarsi dopo 45 secondi. Al grido è un uomo!, è una donna trans! e in un girone infernale di tweet, articoli di giornali e dichiarazioni pubbliche, il genere di appartenenza dell’atleta è stato ripetutamente messo in discussione senza alcuna prova e ragione. Il premio del senza vergogna va sicuramente alla seconda carica dello stato, Ignazio la Russa che ha twittato:«Boxe: un transgender algerino contro una donna italiana ai Giochi olimpici…È politicamente scorretto dire che tifo per la donna?»




Imane Khelif si è difesa sia sul ring - andando a vincere la medaglia d’oro - che fuori dove ha denunciato ciò che ha subito depositando presso la procura di Parigi una denuncia contro ignoti per atti di cyberbullismo aggravato. Non contenta delle spiegazioni fornite dal CIO sulla vicenda e sull’evidenza che Imane Khelif fosse una donna, durante l’ultimo giorno delle Olimpiadi, la ministra Roccella ha postato sul suo profilo Facebook un messaggio molto violento. Roccella ha denunciato un «nuovo patriarcato che attacca le donne colpendole nell’identità, cioè non riconoscendo la realtà del corpo sessuato». La preoccupazione della ministra risiede nel superamento del binarismo di genere: «se si nega la possibilità di distinguere “scientificamente” i maschi dalle femmine, è evidente che le categorie maschili e femminili, e con esse le gare sportive per le donne, perdono totalmente di senso». Ci viene da aggiungere, e se questa non fosse proprio la fine del mondo, bensì l’inizio di un mondo più giusto, cara Ministra?

 

Qualche giorno dopo l’inizio dei Giochi il bersaglio è diventato, invece, Benedetta Pilato, rea confessa di aver mostrato una smisurata felicità per un quarto posto a 1 centesimo dal podio. Le critiche che le sono state rivolte sono state dure, la sua felicità è stata delegittimata, così come il suo percorso. Oltre alla giornalista che indispettita le chiedeva “ma veramente?”, la critica più dura gliel’ha rivolta l’ex ex schermitrice Elisa Di Francisca che dai canali Rai ha tuonato (e poi si è scusata): «Ma c’è o ci fa? è impossibile che sia contenta». 


Particolarmente sessista e criticato è stato poi il titolo de La Repubblica sulla vittoria nella scherma: «Italia oro nella spada squadre, francesi battute in casa. Le 4 regine: l’amica di Diletta Leotta, la francese, la psicologa e la mamma». Se Michela Murgia ci manca sempre, quel giorno un pochino di più


In generale, si può dire che i titoli dei giornali sulle imprese delle atlete sono stati spesso conditi da una buona dose di sessismo benevolo che ha tolto loro autorità e status. Le atlete per i giornali erano tutte ragazze, mamme, farfalle, fate, regine, principesse mentre, però, si aggiudicavano 7 dei 12 ori totali e riscrivevano, in molti casi, la storia del loro sport. Mentre alle atlete con hijab (coloro che potevano utilizzarlo, visto che alle atlete francesi, ad esempio era stato vietato) non è stata risparmiata un’attenzione morbosa al modo in cui erano vestite, il razzismo si abbatteva anche sulle neo campionesse olimpiche della pallavolo Egonu e Sylla, nate e cresciute in Italia ma secondo i giornali italiani e Bruno Vespa, «un esempio di integrazione vincente». Una retorica che, ancora nel 2024,  evidenzia come le persone non bianche in Italia siano, a prescindere, percepite come non italiane e quindi bisognose di integrarsi anche se nate e cresciute qua.

 

Sempre durante questi giochi abbiamo scoperto che le buone prestazioni delle atlete sono dovute ai fidanzati che gli donano stabilità mentre al contrario come fidanzate, le donne sono fonte di distrazione emotiva e sessuale. Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera scriveva «Ora Paola ha trovato stabilità con un fidanzato, Leonardo Puliti, manager della sua società, il Monza», mentre Anna Kalinskaja (per alcuni giornalisti ormai solo Lady Sinner) veniva inondata di insulti sessisti perché “colpevole” del forfait del fidanzato tennista alle Olimpiadi e del suo relativo brutto periodo (in termini sportivi). A chiudere in bellezza è stato il Tg2 che nell'intervistare le pallavoliste, campionesse olimpiche, ha sbagliato l’associazione tra chi parlava e i nomi in sovraimpressione ma anche il cognome di Paola Egonu che si è trasformata in Enogu (all rights reserved to Bruno Vespa)




Se da un lato la stampa e la politica non hanno saputo cogliere a pieno la portata rivoluzionaria dei messaggi delle atlete e degli atleti olimpici, questə si sono resə protagonistə di momenti che non vanno certo dimenticati. Dallo scambio di medaglie tra l’ex capitana Miryam Sylla e la capitana in pectore Danesi, passando per le ginnaste Simone Biles e Jordan Chiles che si si sono inchinate dinanzi al primo posto della brasiliana Rebeca Andrade, la sorellanza è stato il minimo comune denominatore di molti atteggiamenti delle atlete in gara.





Il rifiuto per l’ossessione della vittoria come unica unità di misura del valore di una persona è stato il fil rouge che ha attraversato molte delle dichiarazioni dellə atletə. In queste Olimpiade c’è stata, infatti, una continua esaltazione dell'importanza del percorso, della cura della propria persona e dei propri limiti: sapere da dove si parte per gioire di dove si arriva indipendentemente dallo standard imposto dallə altrə, gioire dell’esperienza umana che lo sport regala, della capacità della sconfitta di insegnarci qualcosa ma soprattutto l’importanza di essere gentili con se stessə, che non significa giustificarsi bensì accettarsi nei propri difetti ed errori e criticarsi non per sminuirsi ma per cambiare e migliorare solo ciò che è in nostro controllo - l’attitudine, la determinazione e l’impegno - lasciando anche all’avversario ogni tanto il giusto e dovuto merito di essere statə più bravə.

 

In molti dei gesti che abbiamo avuto la fortuna di vedere si può sentire l’eco dei valori che da sempre il femminismo ha fatto suo: la cura, la gentilezza, l’esaltazione della diversità, la sorellanza e il rifiuto di una narrazione che esalti la vittoria (e quindi lo schiacciamento dell’altrə) a tutti i costi. Anche se non è stato mai nominato, è bello pensare che la filosofia femminista stia entrando nel modo di pensare, agire e comuncare di molte atlete, affinché lo sport smetta di essere l’avamposto del maschismo ed esaltazione della forza (schiacciante) dove la vittoria è l’unico risultato possibile e degno di nota



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