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Quando cammino da sola...

  • valeriocamilla93
  • 13 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Sto trascorrendo l’estate a Bolzano, la città dove vive la mia famiglia. Qui non ho né un’auto né una bici e mi sposto prevalentemente a piedi. Metà del mio tempo agostano lo passo a pianificare come tornare a casa, chi potrà darmi un passaggio e se sia il caso di uscire, visto che poi dovrò rientrare da sola. Certo, le mie amiche e i miei amici spesso sono gentili e mi accompagnano fin sotto casa alla fine delle serate, ma non sempre è possibile.


Quando ceno da mia nonna e le chiacchiere sul balcone si protraggono, lei inizia ad agitarsi: «Mi raccomando, fai il giro largo. Non passare dal parchetto, non si sa mai. E chiamami quando arrivi.» Quando amici e amiche mi invitano dopo le 22 per bere qualcosa, il tragitto casa–bar (dieci minuti al massimo) diventa un vero incubo. Uomini soli o in gruppo che indugiano con lo sguardo, fissano, a volte emettono suoni di “approvazione” e si avventurano in ammiccamenti vari ed eventuali. Un gioco di potere e di assoggettamento che mi provoca un profondo senso di insicurezza, a cui non trovo soluzione: o resto a casa, o lo sopporto.


Un uomo sconosciuto su Instagram mi ha scritto: «Buona passeggiata in via [segue il nome della mia via]. Ti ho visto 5 minuti fa.» Ho avuto paura, ho paura, e trovo avvilente che nel nostro sistema culturale tutto ciò sia ancora accettato come un modo qualsiasi per provarci con una ragazza: farla sentire seguita, pedinata.

Ieri, mentre uscivo dal tabacchino davanti al quale stavo camminando, un uomo ha interrotto me e la mia bellissima playlist sparata nelle orecchie per dirmi che ero troppo carina e che lui proprio (ma proprio) voleva conoscermi. Aveva un modo garbato, e per fortuna era pomeriggio, ma io non ne potevo più. L’ho guardato, ho sorriso e me ne sono andata, perché sono stanca.


Stanca e frustrata, e vorrei tanto un mantello dell’invisibilità. Vorrei che questa fosse solo la mia storia. Invece è quella di tutte noi. Niente di nuovo: sfumature dello stesso problema. Le donne sole nelle città si sentono sotto assedio, costantemente sotto lo sguardo di uomini che le vogliono, le sessualizzano, le spaventano. E quando lo fanno notare, si sentono dire che è perché sono belle, che non devono esagerare, che in cinque minuti di strada non può succedere nulla.

Qualche giorno fa ero sul divano con una mia amica che mi raccontava quanto fosse dura essere madre, senza tempo e spazio per sé. Le ho detto: «La sera, quando torna tuo marito dal lavoro, vai in palestra, in piscina, in sauna. Fai qualcosa: così non puoi vivere per sempre.» Mi ha risposto che ha paura di tornare da sola la sera. Non ho saputo cosa dirle.


Una volta un ragazzo mi ha chiesto: «Che cosa faresti se fossi uomo per 24 ore?» D’istinto, senza pensarci, ho risposto che me ne andrei in giro per la città, a tutte le ore, preferibilmente di notte. Per vedere che effetto fa. «Tutto qui?» ha ribadito lui. «Tutto qui» ho risposto, convinta, e mi sono immaginata a girare a testa alta, con il cellulare in borsa e il sorriso rivolto alle persone che mi passano vicino. Mi sono immaginata percorrere il tragitto più breve, non quello meno angusto o più luminoso. Mi sono immaginata non preoccuparmi dell’orario, di come sono vestita, di quello seduto sulla panchina che mi sta fissando. Penso che, se fossi un uomo per la strada e fosse sera, mi prenderei il gusto di mettere la musica nelle orecchie, allungare la strada, ballare da sola sotto un porticato, vivermi la notte. Seguirei i miei desideri e non la mia paura.

 
 
 

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